3/11/2012 scrivevo...
Ero a via Andrea Angiulli , di mattina, nella cantina dove provava un “complesso” di ragazzi più grandi; era estate e correva l’anno 1970 ma,non per me, a me sembrava andasse lentissimo.
Ad un certo punto, non ricordo perché, forse per un problema di chiavi , mi lasciarono a custodire la cantina per un po’, ed io rimasi da solo ad un passo dal il mio sogno: una batteria Hollywood e la possibilità di suonarla. Mi avvicinai , mi sedetti; avevo la testa china e lo sguardo basso, al punto che non riuscivo neanche a guardarla tutta, manco fosse una donna nuda. Presi una delle bacchette poggiate sul timpano e…un solo colpo , sul rullante: Bang! Scappai via, spaventato .
Quel colpo, ora lo so, fu il fragore mistico di un rito di passaggio, manifestava il potere del Suono su di me e la mia nuova, imperitura, duratura necessità fisica di domarlo, cavalcarlo ed iniziare a viaggiare.
Fu cosi che, a quindici anni , nacqui a Monte Mario. Io che venivo da Prati , da Roma , come dicevano lì allora; trovai con un colpo di tamburo la mia iscrizione all’anagrafe dei musicisti .
Gli altri non lo sapevano , non potevano vederlo dato che neanche possedevo uno strumento, ma io ero già un musicista, il mio mondo era Monte Mario ed ero deciso a conquistarlo.
C’erano cantine ovunque, Il Kobra, via Matteo Palmieri , via Fava, Via Angiulli…Il sabato e la domenica pomeriggio in molte di esse si ballava al suono del “complesso”. Le melodie di moda cantate dentro microfoni quadrati, assoli acerbi della chitarra solista, accordi rassegnati delle chitarre ritmiche, giri di basso rassicuranti, organi farfisa , tempi incerti , rullate copiate dai dischi o dalla radio. Le ragazze in minigonna tornavano a casa alle sei di sera, i ragazzi fumavano Muratti, Amadis, Macedonia, Accabi’ ed altro tabacco oggi estinto. Solo tabacco.
I musicisti a Monte Mario avevano un ruolo riconosciuto, giravano per strada e tutti li salutavano, e si vantavano di conoscerli. Si ballava con la musica dal vivo e questo rendeva anche i semi-professionisti un patrimonio prezioso.
In questo humus di periferia, che ancora sapeva di orto e si apprestava a profumarsi di Urbe, germogliavano i semi portati dal “vento nuovo” , che aveva mille nomi , tanto nessuno sentiva il bisogno di chiamarlo.
Venne ,perché era ora di arrivare, camminando rasente ai muri, intrufolandosi nelle prove dei complessi , seducendo i musicisti migliori, cavalcando l’imberbe psichedelìa . Venne ed era fico e acido, affascinante e incomprensibile, come un bell’uomo che non sente il bisogno di piacere. Alla fine venne, ed era il Jazz.
A Monte Mario in quel tempo sopravvivevano ben due piccole baraccopoli una a destra di via Troya l’altra parallela a via Conti . In quest’ultima nel 1967 fu scovato e ucciso Leonardo Cimino, sanguinario bandito protagonista delle gesta della Banda Torregiani. Erano casette piccole coi tetti di tegole messe male, i fumaioli uscivano dai muri, i cessi erano sempre costruiti dopo, appiccicati alla costruzione come tasselli di Lego. La vita, se così la vogliamo chiamare, si svolgeva immersa nell’odore continuamente indeciso tra la minestra e il pozzo-nero. Viveva là una umanità strana , un po’ agricola, un po’ pasoliniana, un po’ malvivente; viveva là , in attesa di sparire, con lentezza.
Dentro quelle baracche , avveniva l’osmosi culturale tra il mondo dei diseredati di sempre , che piano piano andavano via, e quello dei giovani alternativi borghesi che, per primi, erano andati via di casa in cerca di un nuovo modo di stare al mondo. Erano Hippies, viaggiatori, gente che scappava prima ancora di averne un motivo. E suonavano, e cantavano cose che non si sentivano alla radio. Oppure improvvisavano , nelle lunghe sedute di musica, attorcigliati sulle chitarre come magri rami di ulivo, circondati da confezioni esauste di cartine JOB, straniti da cannabis abbondante e varia , aiutati dal vino comprato alla mescita, vicino al cinema Edelweiss; improvvisavano musica per ore, procurandosi ferite creative che molti avrebbero sanato, tempo dopo, con il jazz.
Quando Massimo passava per strada , goffo e serio come uno studente dei preti, i musicisti del quartiere si davano di gomito ed iniziava sempre la stessa discussione”..hai sentito quanto sòna quello?...chi ? Urbani? Te credo che sòna, Studia diec’ore ar giorno! ..Mortacci , davero aho…l’artro giorno so annati ar mare co’ mi fratello…dice che tutti giocaveno e se tuffaveno… lui è stato tutto er tempo a studià er solfeggio, cor Bona!…” . Massimo era rispettato, il suo talento gli procurava riconoscimento e benevolenza affrancandolo dall’obbligo dell’Alterigia, per fortuna. Non sarebbe stato capace di tesoreggiare i suoi talenti. Massimo aveva bisogno che il mondo lo accogliesse , non solo il mondo della musica, tutto il Mondo.
Agli inizi, pur di imparare, suonava con chiunque ed ovunque… andava con i mezzi pubblici in zone remote della città sulla cui ubicazione erano incerti persino quelli che ci abitavano , per suonare il Jazz con musicisti spesso molto meno bravi di lui. Suonava e diventava grande, suonava e , contemporaneamente, diceva a tutta Monte Mario, a tutta la città a tutti noi, che il Jazz c’era, che era bello, che era pericoloso, che era possibile.
Oggi, In questi tempi figli di quello, Ivano organizza MoMa ,un festival jazz.
Solo lui poteva pensare di mettere su una rassegna di jazz a Monte Mario, e solo lui poteva riuscirci. =AZW7FBqkYTbSbvaI9Q2TTb5P5Ig2_v_OttSe-iMURFfibiFaUNqi1T_viKP8Yl6c52iItVJUtv4Cg4qTn27oBdgGAmOlGXcFHP2KijsN74UAkaBMR5FuKygW9hLuo25LbQ8&__tn__=-]K-R]
Ivano Nardi
] ! elegante esecutore di musica ineducata, Dottore in sopravvivenza, esperto in resurrezioni, depositario di storie e sterminata aneddotica, Professore Dissociato di teorie dell’affetto e fenomenologia dell’ Amore, asseconda con questo gesto un’urgenza intima.
Della memoria che è stata , portiamo, negli occhi e nell’anima, scaffali pieni di fascicoli, che, giustamente, nessuno dopo di noi avrà voglia di sfogliare. Il grande cuore Guadalupero di Ivano lo ha comandato a scrivere , per conto di tutti, la pagina nuova della “memoria che sarà”, dentro un Luogo che è più di un quartiere, intorno al pilastro fragile e immortale di Massimo Urbani
Dal canto mio, dopo trentacinque anni di musica, di viaggi, di palcoscenico, di studio , di cibo, di aeroporti, di amore, di risate ,di stazioni, di lacrime, di note giuste e note sprecate, posseggo ancora una Hollywood come quella di via Angiulli ; vorrei proprio che Ivano mi aiutasse a saldare il mio debito, facendomela suonare nel suo festival, a Monte Mario.